I magnifici frutti dell’albero del Gelso
La granita di gelsi, è un’imperdibile specialità di YOGHI che ogni anno, a partire da fine giugno, attrae e delizia sempre più estimatori. Buona, fresca e saporitissima, questa granita estiva è frutto della sapiente elaborazione dei frutti freschi dell’albero del Gelso e a seguire, vogliamo raccontarvi qualcosa su quest’albero e la leggenda a lui legata.
Plinio il vecchio definì il gelso: “Sapientissima arborum“, ( il più saggio tra gli alberi ), perché, per emettere il fogliame attende ( con saggia pazienza ) che siano scongiurate anche le gelate tardive; e ne apprese le benefiche proprietà naturali e consigliava di mangiarne i frutti mescolati a miele, zafferano e mirra, contro il mal di gola e i disturbi di stomaco, ma fu ritenuto anche, ottimo rimedio officinale, contro ulcere e catarro; e oggi , ricerche scientifiche confermano che contiene principi attivi in grado di riequilibrare il metabolismo
Il Gelso bianco, (Morus alba), proviene dall’Estremo Oriente e fu Marco Polo a scoprirlo nel suo viaggio in Cina verso fine 1200; ma solo nel 1400 si diffuse in tutta Europa. Nel 1300 la piantagione di “Morus alba” veniva imposta ai proprietari terrieri negli editti comunali ed erano anche inflitte pesanti sanzioni a chi ne danneggiava gli alberi; il Gelso nero, (Morus nigra) invece, abbondava nei chiostri dei monasteri medioevali dove veniva spesso utilizzato dai frati come frutto da pasto o per la produzione di un vino detto “Vinum moratum” o per intensificare il colore del vino rosso che producevano.
Spesso denominato erroneamente “mora”, in realtà è un sorosio, un falso frutto costituito da tante mini-sfere raggruppate a formare il frutto ricoperto da una polpa bianco-rosata commestibile. Amante del sole, regge sia il gelo che la siccità e una delle sue terre propizie è quella della Sicilia, dove crescono varietà succose e gustosissime he , poi, danno vita alle spettacolari granite di YOGHI.
La leggenda dell’amore tra Tisbe e Piramo
Nei templi Greci il gelso era la pianta consacrata al dio Pan, e simboleggiava l’intelligenza e la passione. il poeta Ovidio nelle sue “Metamorfosi” lo rende protagonista del dramma della passione di due giovani babilonesi, Tisbe e Piramo che, innamoratisi pazzamente nonostante le famiglie fossero fortemente contrarie al loro amore, vennero scoperti e rinchiusi nei sotterranei delle loro abitazioni, che sorgevano l’una accanto all’altra.
Una crepa nel muro, permise loro di comunicare e così decisero di attrarre i loro guardiani in un tranello per fuggire e ricongiungersi nel bosco in un luogo conosciuto, dove c’erano una fonte e un grande albero di gelso. Il piano riuscì e giunsero al luogo convenuto dove, complice il tramonto, si amarono, promettendosi eterna fedeltà. Ma poi, mentre Tisbe era andata alla fonte, vide una leonessa con la bocca sporca di sangue che aveva appena divorato una preda. Spaventata, fuggì via ma, correndo, perse lo scialle e la fiera, fiutato l’indumento, si avventò su di esso lacerandolo e insanguinandolo prima di allontanarsi.
Subito dopo giunse Piramo che, non vedendo Tisbe ma solo ciò che restava del suo scialle, pensò fosse stata sbranata e, preso dalla disperazione, si tolse la vita con il suo pugnale. Mentre Piramo esalava l’ultimo respiro, tornò Tisbe che, affranta e incredula, stringendo al seno il suo amato e baciandolo teneramente, prese il medesimo pugnale e si trafisse il cuore. La leggenda dice che il sangue di Piramo e Tisbe, irrorando il terreno, nutrì il gelso il cui frutto, da quel giorno, per volere degli dei, impietositi dalla tragica storia dei due giovani amanti, da bianco divenne rosso cupo.
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